"Il richiamo dei magici cuccù": storia, riti e credenze di questi coloratissimi oggetti analizzati da Marietta Russo
Il cuccù, dalle sue
origini nel Paleolitico passando per le ceramiche neolitiche di Serra d’Alto
fino a all’artigianato che negli anni ‘40 e ‘50 ha caratterizzato le fiere
locali legate ad alcune festività.
Proposto oggi ai turisti
come souvenir e fischietto portafortuna, è quanto mai intrigante la sua
promessa scaramantica: “allontanerà ogni ombra che potrebbe minacciare il
vostro domani attraverso delle magiche sonorità che, secondo l’antica credenza,
si associano al canto del gallo, mentre la Luce trionfa sulle infide oscurità”.
Sono le parole di
Marietta Russo, autrice del saggio Il
richiamo dei magici cuccù (Magister), che ha analizzato minuziosamente e
con una ricca bibliografia questo oggetto ricco di storia, dalle tante
sfaccettature, in grado di suscitare allegria.
“La storia dei fischietti
– spiega la Russo - si è snodata in una dimensione globale e lungo lo scorrere
delle epoche; le prime pagine sono state scritte all’alba dei tempi, quando gli
uomini vollero crearsi degli strumenti che producessero un suono, simile al canto
degli uccelli o allo schiocco delle labbra o al soffio del vento”.
La storia del cuccù, che
si perde appunto in epoche remote, lascia poi spazio, nel saggio, alle fasi di
realizzazione di questo oggetto e a una carrellata di artigiani materani che si
sono misurati con la sua creazione per arrivare a un excursus sulle credenze e
le ritualità che rimandano al cuccù. Un nome che, se a Matera si pensa emetta un
suono simile a quello del cuculo, ad Altamura è chiamato bubbù per il suono più
profondo e a Gravina “cola cola” (con riferimento alla gazza), dal significato
apotropaico e benaugurante che risale alla notte dei tempi e che è legato alla
rappresentazione del gallo che da millenni è considerato colui che allontana la
notte, cioè il male, e saluta il giorno, cioè il bene.
Spesso molto colorato (il
fondo, tuttavia, rimane bianco), è in grado di suscitare immediata simpatia per
la sua forma: uno strano galletto pettoruto e fiero, con cresta e bargigli
rossi, occhi vispi che vengono quasi fuori dalle orbite, un campanellino appeso
al collo.
La Russo ha condotto
un’analisi capillare impreziosita dalle foto artistiche di Cristina Garzone e
Claudio Bernardi e dalla prefazione di Nicola D’Imperio - autore che ha
pubblicato per Edizioni Magister ben otto opere tutte riguardanti la Lucania e
Matera in particolare.
Rossella
Montemurro