Francesca Marzia Esposito e quei "Corpi di ballo" da plasmare: a vent'anni alla ricerca della perfezione
“Quello che io volevo e
che avevo sempre desiderato era essere perfetta, per la Holmes, per la scena,
per mia madre. La perfezione era una tensione che si avvicinava molto al
concetto di sparizione. Quando danzavo, la distanza tra vita e morte si
azzerava fino ad annullarsi. Il gesto coreografato nasceva e moriva
continuamente; così mi sottraevo alla bestialità ciclica del vivere, anche
se per il solo tempo illusorio del balletto. Perché tutto si innalzasse al
di sopra dell’ovvio e del normale, occorreva ridursi a meno corpo possibile,
meno diventava presente il fisico e più sarebbe stato adatto per ballare.
Il come arrivare a quella condizione richiedeva
violenza e forza distruttiva. Un pensiero che non poteva essere condiviso da chi riduceva la magrezza
a un canone estetico superficiale: noi dovevamo creare un corpo adatto alla danza,
e per crearlo dovevamo per prima cosa distruggerlo”.
È un ritratto tagliente, fisico, a volte spietato e crudo quello del mondo della danza fatto da Francesca Marzia
Esposito in Corpi di ballo
(Mondadori). Non c’è la grazia della danza che si ammira dalla platea, la
serenità nei volti angelici delle ballerine ma ci sono solo corpi portati al
limite come osserva Anita, la protagonista e io narrante: “Rendere naturale ciò
che è innaturale, la danza non è che questo, pensai”.
I corpi - resi benissimo
fin dal titolo - di Anita e Miriam affrontano una lotta quotidiana con il cibo:
non sono carnali e desiderabili, sono un qualcosa che tende a diventare “non
corpo”: “(…) Danzare era il tentativo di mettere in scena la vita sempre a un
passo dalla morte. È tutto surreale, pensai, per danzare devo essere magra, per
essere magra devo digiunare, ma non devo dimagrire troppo altrimenti non mi
fanno danzare, e però se mangio divento enorme e non mi fanno danzare lo
stesso; io purtroppo non ho ancora imparato a mangiare senza ingrassare”.
Anita e Miriam, ventenni,
per inseguire il sogno di interpretare “Ondine”, il nuovo balletto che la
direttrice della compagnia – un’ex ballerina ossessionata dalla perfezione e
dalla magrezza delle sue allieve – ha deciso di mettere in scena, si stanno
completamente annullando.
La danza offusca tutto il
resto mettendo tra parentesi la vita. Gli allenamenti, sempre più estenuanti,
occupano la maggior parte del tempo: le due ragazze, che vivono insieme, a
parte foto postate compulsivamente da Miriam sui social, sporadiche telefonate
a casa (quando Anita è costretta a prendersi una pausa e tornare per qualche
giorno in famiglia è insofferente alla “normalità”) e le visite notturne del
ragazzo e di un amico di Miriam, loro non hanno interessi o passioni al di
fuori della danza.
Anita subisce il
carattere forte ed estroverso di Miriam, è convinta che fra le due sia la
migliore, è invidiosa delle attenzioni che le rivolge la Holmes fino a quando,
al termine di un’ennesima, massacrante sessione di prove, Miriam perde i sensi.
Anita si scuote, le sue
certezze crollano e il suo rapporto con il corpo inizia a ridimensionarsi.
Quello di Francesca
Marzia Esposito che, insegnante di danza, l’argomento lo conosce a fondo, è uno
stile asciutto, diretto e proprio per questo Corpi di ballo con tutto il suo carico emotivo ha sul lettore un
impatto forte, immediato.
Ci sono il rapporto
distorto con il cibo, con l’immagine di sé, il corpo obbligato a diventare uno
strumento, le manie della perfezione al posto della spensieratezza dei vent’anni:
“Non mi sarei mai sognata per esempio di mettere in cantiere un
altro essere umano, di avere intenzioni serie di quel tipo,
di pensarmi talmente unica da poter cedere all’idea di duplicarmi. Io ero
per l’estinzione, la specie umana di mia conoscenza era intasata da brutture,
da esseri mediocri, fallati, primitivi, inutili. Anche per questo
danzavo, prendevo distanza dalla realtà abominevole”.
Francesca Marzia Esposito
vive a Milano. Si è laureata al Dams di Bologna e ha conseguito un master in
Scrittura per il Cinema all'Università Cattolica di Milano. Alcuni suoi
racconti sono stati pubblicati sulle riviste: "Granta",
"'tina", "Colla", "GQ" e altre. Ha esordito con La forma minima della felicità (Baldini
& Castoldi, 2015).
Rossella
Montemurro