“La vita che volevo”, le contraddizioni degli anni Settanta raccontate da Tommaso Carbone
Da una vita tutto sommato tranquilla, scandita dai ritmi della natura,
dal lavoro in una campagna del Sud e dai piccoli e grandi conflitti in famiglia
a una vita di colpo frenetica, in una grande città con nuovi stimoli e un
ventaglio infinito di aspettative e opportunità – non sempre positive.
È quello che accade a Innocenzo, il protagonista dell’ultimo romanzo
dello scrittore lucano Tommaso Carbone La
vita che volevo (PubGold). Innocenzo è un ragazzo fondamentalmente buono,
senza grilli per la testa, che però non riesce a scalfire l’inflessibilità del
padre – incapace di dare al figlio quella libertà che gli permetterebbe di
crescere sul serio. Quando Rocco gli offre l’ospitalità e un lavoro a Torino,
Innocenzo coglie l’occasione per spiccare il volo, lasciandosi alle spalle la
prospettiva di un futuro incerto. Siamo negli anni Settanta, proprio quando il
comunismo sta vivendo il suo momento d’oro e le ideologie sovversive cominciano
ad attecchire. Torino, per Innocenzo, rappresenta la svolta: l’indipendenza, la
certezza di un lavoro, le amicizie, l’amore, l’impegno politico. Come spesso
accade, però, questa cornice ideale è destinata pian piano a sfaldarsi:
l’impegno nel sindacato non è ben visto dai datori di lavoro, le amicizie non
sempre sono quelle giuste, perdere la testa per la donna del proprio amico
significa dilaniarsi dai sensi di colpa, combattere per un’ideologia può essere
pericoloso quando si sconfina nella violenza…
La vita che volevo è il percorso, difficile e complesso, di un
ragazzo meridionale che si impegna per ottenere un riscatto personale. Gli anni
Settanta sono raccontati da Carbone con garbo e competenza, senza enfasi. Le
descrizioni accurate – tanto dei paesaggi quanto degli stati d’animo – rendono
questa storia molto “sentita”. Gli anni di piombo sono narrati attraverso le
inquietudini, i sogni, le illusioni e i conflitti di due generazioni: quella
dei padri che hanno vissuto la guerra e quella dei figli nutriti dalle
ideologie del ’68. La vita che volevo
è una storia corale di gente comune, di affetti, di amicizie, di tradimenti, di
sentimenti feriti, di rinascita, il romanzo ideale per essere adottato come
libro di testo nelle scuole.
Come
è nata la trama del suo nuovo romanzo, "La vita che volevo"?
“Accarezzavo l’idea di scrivere un romanzo ambientato
nella metà degli anni ’70 da tempo. Come al solito ho lasciato che maturasse.
Volevo raccontare il periodo più difficile della
nostra storia recente, gli anni di piombo,
in cui un manipolo di “marxisti-leninisti fuori tempo” - così li definì il
presidente Francesco Cossiga - sferrarono un attacco al “cuore dello Stato”,
attraverso le inquietudini, i sogni, le illusioni e i conflitti di quella
tragica stagione, scrivendo una storia di gente comune, di affetti, di
amicizie, di tradimenti, di sentimenti feriti, di rinascita. Più gli editori mi
dicevano che era un tema ampiamente trattato, che sull’argomento avevano già
scritto i protagonisti di quegli anni come Prospero Gallinari, che non avrei
potuto aggiungere nulla – non si erano resi conto che il mio era un punto di
vista completamente diverso, non ideologico, né inquinato o viziato, per così
dire, dalla partecipazione diretta – più mi convincevo che dovevo scriverlo”.
“L’8 giugno del 1976 a Genova le Brigate Rosse trucidarono in un
agguato il Procuratore della Repubblica Francesco Coco, il brigadiere di
polizia Giovanni Saponara e l’appuntato dei carabinieri Antioco Deiana.
Apprendemmo la notizia dalla televisione. Mio padre riconobbe subito la foto
del brigadiere Saponara, originario di Salandra, figlio di una cugina di mia
nonna. Avevo solo 13 anni ma ricordo bene il dolore e la costernazione che per
la morte di quei servitori dello Stato uccisi barbaramente. A loro e a tutte le
vittime del terrorismo ho dedicato il libro”.
“Innocenzo, il protagonista, ribelle e idealista, inquieto e impulsivo con un rapporto
conflittuale col padre incapace di cogliere i cambiamenti della società e di
comprendere le aspirazioni del figlio che nel momento più difficile della sua
vita scoprirà che c’è ancora spazio per la speranza”.
“Un chiaro omaggio al mio paese, Grassano, a cui sono
molto legato, al santo patrono e ai tanti amici che portano questo nome. Mi
piaceva il parallelismo tra Sant’Innocenzo martire cristiano che ha il coraggio
di testimoniare la sua fede in Cristo e Innocenzo il protagonista che non ha il
coraggio di assumersi le sue responsabilità e vive con il rimorso di quello che
ha fatto senza aver espiato la colpa”.
“Mi sono documentato e ho letto tantissimo: saggi,
articoli di giornali e riviste, documenti ufficiali, interviste ai principali
protagonisti di quegli anni. Tra i tanti libri consultati voglio ricordare La notte della Repubblica di Sergio
Zavoli che ripercorre la storia dell’eversione in Italia e ne analizza il clima
e conseguenze attraverso la voce dei protagonisti”.
“Mi piace spaziare anche se qualcuno mi ritiene uno scrittore di genere
avendo all’attivo alcuni gialli e thriller. Scriverò sicuramente altri romanzi.
Le anticipo che sto raccogliendo il materiale preparatorio per un romanzo
ambientato in Basilicata che inizierà nel 1880 che si protrarrà fino alla
seconda guerra mondiale attraverso la storia e il declino di una famiglia di
latifondisti”.
Tommaso Carbone è nato nel 1963 a Grassano, in provincia di Matera, si è
laureato in Pedagogia e insegna nella scuola primaria. Nel 2012 ha pubblicato Niente è come sembra (Rusconi). Il suo
racconto Un angelo vestito di nero è
stato incluso nella raccolta Carabinieri
in Giallo 3 (Mondadori). Tommaso Carbone è nato nel 1963 a Grassano, in
provincia di Matera, si è laureato in Pedagogia e insegna nella scuola primaria.
Nel 2012 ha pubblicato Niente è come
sembra (Rusconi). Il suo racconto Un
angelo vestito di nero è stato incluso nella raccolta Carabinieri in Giallo
3 (Mondadori). Con Libromania ha pubblicato i romanzi Il sole dietro la collina, Il
cadavere del santuario, Non avrete scampo e L’angelo
sterminatore. Con Delos Digital L’innocenza
perduta e A un passo dal baratro.
Rossella Montemurro