"Il gioco", con Carlo D'Amicis nel mistero dei territori del desiderio
Spregiudicato e profondo, tenero e volgare, sempre al limite tra l’eros
soffuso e il porno: Il gioco
(Mondadori) di Carlo D’Amicis ha una trama piena di contrasti con un unico filo
conduttore, il sesso.
Tre personaggi – Leonardo, Eva e Giorgio, rispettivamente il bull, il
cuckold e la sweet – si raccontano a un intervistatore confidando, senza
alcuna remora o pudore di sorta, la propria disinvoltura sessuale che spesso
stride con i rispettivi vissuti.
Leonardo, orfano di un carabiniere ucciso dalle BR,
descrive le sue (dis)avventure da bull. Nome in codice Mister Wolf, viene
assoldato dai mariti per andare a letto con le mogli. È stato professore fin
quando non ha palpeggiato una studentessa (figlia di una sua “cliente”), ha
scritto storie hot per “Le Ore”, ha instaurato un’amicizia fraterna e una sorta
di partnership lavorativa con Giacomo tanto che nelle inserzioni sono Macho con
Freak (“Abbinata alla mia muscolatura, la deformità di Giacomo smise di essere
ripugnante e diventò un optional originale”)… Parla delle sue esperienze senza
peli sulla lingua, assume con l’intervistatore, a tratti, un atteggiamento
arrogante. È un bull fino in fondo, tranne quando ricorda Giacomo e traspare il
suo lato un pò più umano, meno artefatto.
Eva, molto bella, dalle movenze nobili è la First Lady:
il suo è un passato da telenovela, cresciuta da una madre che per fuggire alla
mafia è entrata nel programma protezione testimoni e, malgrado tutto, ha avuto un ricco
vissuto sentimentale. Eva è la moglie di Giorgio, il presidente, un primario di
oncologia stimato e apprezzato che nel privato è un cuckold, un tradito
consenziente che sguazza nella sua impotenza ma non rinuncerebbe a manovrare i
fili, ad essere il regista di situazioni bollenti.
Le inclinazioni sessuali di questa insolita triade sono
il pretesto per scoperchiare ricordi, evidenziando il legame sottile e
strettissimo tra la vita e il sesso.
Il gioco è un romanzo che il lettore avverte come
liberatorio, ha un non so che di catartico che conquista. Le tante storie
narrate dall’autore sono un microcosmo di varia umanità: è difficile
etichettare moralmente i personaggi, spesso così psicologicamente simili a noi
anche e soprattutto nei loro sbagli.
D’Amicis si conferma uno degli scrittori italiani più
talentuosi e versatili, in grado di misurarsi con qualsiasi argomento senza
essere banale, andando oltre le apparenze, riuscendo a creare storie sempre originali
e accattivanti.
Come
è nata la trama del suo ultimo romanzo, Il
gioco?
“Siamo abituati
a considerare il desiderio (non solo quello erotico) come qualcosa che va
da sé. Tanto che quasi mai sappiamo spiegare perché le persone ci
attraggono o ci respingono. In realtà credo che noi spesso desideriamo solo ciò
che possiamo permetterci di desiderare, al punto che - ritenendo che non
possiamo più permetterci niente - in molti casi smettiamo anche di
desiderare. Mettendo in scena dei personaggi con una casistica del
desiderio così paradossale (perché invaghirsi solo di sconosciuti, o delle
donne degli altri? Perché eccitarsi solo se guardati? Perché godere offrendo ad
altri uomini la propria donna?) volevo provare a mettere sotto gli occhi
del lettore non la vertigine o l'abisso del desiderio (di romanzi passionali
ce ne sono tanti) ma la vastità, l'incombenza e il mistero dei suoi
territori, che costantemente abbiamo bisogno, in modo più o meno poliziesco, di
presidiare”.
Tra
Eva, Giorgio e Leonardo, qual è il personaggio che ha descritto con più
difficoltà?
“Sicuramente il
mio disordine assomiglia più a quello di Leonardo che a quelli
di Eva e Giorgio. Ma la difficoltà principale è stata comune a tutti e tre i
personaggi: dare dignità umana a dei personaggi che potrebbero essere liquidati
come depravati, e che invece, cedendo terreno ai propri desideri, si ritrovano
con il problema, umanissimo, di dover gestire le proprie
pulsioni e di dover essere, in qualche modo normali”.
Ci
sono tante microstorie, alcune molto belle e appassionanti. Da dove ha preso
spunto per questi flash su vite comuni che spesso portano con sé qualcosa di
insolito?
“Come ti dicevo
ho cercato in tutti i modi di sottrarre questi personaggi dallo stereotipo del
maniaco sessuale, e di restituirli a una dimensione il più possibile umana.
Avevo insomma bisogno che vivessero, nel sesso ma anche fuori dal sesso, perché
il dentro e il fuori (nonostante il gioco, alla fine, non sia altro che
il tentativo di stabilire un mondo parallelo, con regole ancora più chiare e
precise) si contagiassero e rivelassero che sì, esistono dei contrappesi tra
buio e luce, tra pulsioni e razionalità, ma alla fine siamo sempre persone che
si portano tutto dietro. Dal rapporto con i genitori agli studi, dal lavoro
all'invecchiamento, ci sono tante pagine in cui la vita si mescola alla
sessualità, rivelando che ogni tentativo di separare l'una dall'altra, per
quanto a un certo punto inevitabile, necessario, è in definitiva illusorio”.
Il
protagonista è il sesso: se da un lato può attirare il lettore dall’altro
potrebbe allontanarlo. Non ha avuto paura di correre questo rischio?
“Quando scrivo
un libro cerco soprattutto di appassionare il lettore che è in me, e alla fine
è troppo tardi per capire se quel libro attira gli altri lettori o li respinge.
In realtà, quello che io cerco ogni volta che apro un romanzo è proprio la
commistione tra questi due elementi: cerco una voce che mi attragga e che nello
stesso tempo mi inquieti, mi faccia stare all'erta. Quindi, più che
preoccuparmi se questo libro attiri o respinga, mi auguro che ogni singolo
lettore avverta l'una e l'altra cosa”.
Quanto
pensa siano diffuse in Italia le dinamiche che descrive tra bull, sweet e
cuckold?
“Penso che
siano diffuse ma non diffusissime. In fondo ci vuole una grande dose di
coraggio, o forse di incoscienza, per affrontare i rischi dei propri desideri,
e non tutti possono permetterselo. Molto più massiccio (ma questo è un altro
argomento, perché Il gioco non è un
libro sulla pornografia) è sicuramente il consumo della pornografia,
soprattutto in rete. Là, davanti a uno schermo, si consumano tantissimi piccoli
giochi con se stessi, spesso catartici, che bruciano il desiderio in un attimo,
affinché non divampi: meccanismo molto più prudente ma, dal punto di vista letterario,
molto meno interessante”.
Lei ha all’attivo
molti romanzi dai quali emerge una versatilità non indifferente. Come riesce a
non cadere nel banale e a evidenziare sempre competenze in merito all’argomento
che affronta?
“Non sono io che sono
versatile, è l'animo umano che è ricchissimo. Scrivere libri è la mia personale
indagine su questa ricchezza che talvolta è miseria, e che nel mettere insieme,
nello stesso cerchio, ricchezza e miseria, ci unisce tutti nella compassione”.
Il gioco è tra i 12
candidati in corsa per la LXXII edizione del Premio Strega selezionati
tra i 41 titoli proposti. Il libro di D’Amicis è stato proposto da Nicola
Lagioia che ha sottolineato: «Seguo e inseguo Carlo dai suoi primi libri, e in
questo ci ho trovato tutte le qualità che me lo fanno amare come autore.
Innanzitutto l’attenzione alla scrittura, la cura della lingua che hanno reso
D’Amicis, libro dopo libro, in modo davvero ammirevole, uno degli scrittori più
interessanti degli ultimi anni, lingua che qui mi pare trovi un raro punto
d’equilibrio tra forza espressiva e sostegno alla storia raccontata. E poi
l’audacia di ciò che racconta. In un periodo in cui il sesso sembra legato a
tutto (legittime battaglie politiche, rivendicazioni, rivincite sociali) tranne
che al desiderio, D’Amicis si inoltra proprio per quella, che è la strada più
accidentata, pericolosa, affascinante. La prescrizione fa quello che deve. Il
desiderio fa quello che può. Nessuno può permettersi di raccontare ciò che
desideriamo veramente, tranne la letteratura.»
D’Amicis,
scrittore romano originario del Salento, è un fuoriclasse della scrittura, un
autore che non ha paura di osare. Ha pubblicato molti romanzi e lavora da molti
anni ai programmi culturali della Rai. Attualmente è autore e conduttore di
"Fahrenheit" su Radio 3. È il co-sceneggiatore del film La guerra
dei cafoni tratto dal suo romanzo omonimo, rieditato lo scorso dalla casa
editrice Minimum Fax e nella cinquina del Premio Strega del 2008.
Rossella Montemurro