"Ruan Ka Tui", pubblicata su Amazon la nuova opera dello scrittore Neil Mongillo


“Quanto segue è la reale descrizione degli accadimenti, che condussero al ritrovamento del sacro manoscritto sul monte Kailash, nell’estremo ovest del Tibet; e degli eventi che fecero seguito, rendendo proponibile la traduzione del codice, ad opera dall’insigne professore, Gregorio Visentin, già titolare della cattedra di lingue orientali, presso l’Università degli Studi di Roma.
Mi accingo, pertanto, a pubblicare integralmente e fedelmente l’opera rinvenuta, denominata, secondo trascrizione, Ruan Ka Tui”. Si delinea, così, l’incipit della nuova opera dello scrittore, Neil Mongillo, pubblicata su Amazon.
Un lavoro complesso, se lo si raffronta ai contenuti esposti, ma reso con una modalità narrativa estremamente fruibile, mai leziosa, per quanto ricercata, e che da subito avvolge il lettore in una trama, in cui si rivela assai minuto il confine tra l’imponderato d’una visione onirica, e la consistenza tangibile d’una realtà riconoscibile, nella misura in cui è manifestazione della vita d’ognuno di noi.
Delinea a dovere il concetto, quanto espresso, nella presentazione dell’opera, da frate Bartolomeo d’Assisi, nel momento in cui esplicita che: “D’altronde…, lì dove non m’è consentito lavorare la materia, poiché di poco pregio, toccherà che modelli gl’occhi di coloro che la guarderanno.
In fin dei conti…, è così che avviene!
Non interessa comprendere se un fatto è veramente accaduto, ma quanto si è disposti a credere che lo sia!
Ed è questo, ahimè, a fare la differenza, a creare e spartire quel che è vero, da quel che non lo è!”
Assolvendo a questi presupposti, la narrazione, fluida e intrigante, conduce il lettore, suo malgrado, a intraprendere un pellegrinaggio immaginifico, nel quale il susseguirsi d’eventi, tratteggiati da una descrizioni che lambisce i caratteri di un’arte visionaria, approdano a un epilogo inatteso, per certi versi, denso d’interrogativi, e che nell’insieme potrebbero sintetizzarsi nel quesito, posto a rappresentazione dell’opera: “E se altro non fossimo, noi stessi, che l’immagine ritratta nel pensiero d’un altro, e quel che trascorre d’attorno, l’Universo, nella sua interezza e indeterminazione, l’inconsapevole creazione concepita nel sogno d’una creatura?”
Per certo, sembra riuscire nell’intento di sintetizzare i contenuti e il fine di quest’ultimo lavoro di Neil Mongillo, quanto emerge dalla prefazione a cura del critico e saggista, Rudolf Kleninger, quando, riferendosi all’opera, come ad una pittura affissa alla parete, rivela: “Il quadro…, l’immagine t’ha assorbito nella sua rappresentazione immaginifica.
Ed è allora che comprendi che sei nella vita, in un tormentato e coinvolgente pensiero del dipintore; e ti rendi conto che, nell’inconcepibile raffigurazione, egli pur tratteggia quel che siamo e quel che potremmo essere. Cosicché, insorge nell’artista un convincimento, il dover riprodurre la crudeltà, pitturandola, a tratti, con un tono d’ironia, che sortisce l’effetto di demonizzarne le brutture; e dipinge la dignità e il coraggio, che s’elevano da quel che vi è di più fragile; e magnifica, nel tratto, il desiderio di comprendere, quale probabile catarsi dell’anima, e l’intinge in una terra in cui l’unico peccato è il voler conoscere, il desiderio d’arrestarsi e godere dell’attesa, nella quale germoglia la riflessione, che c’approssima alla creazione e a Dio.
Percorri l’intero viaggio, e comprendi quel che avrebbe voluto narrare la sola raffigurazione ritratta su d’una parete, intuisci che non è la pastura del ritratto ad essere immota, come un corpo deturpato dell’anima; bensì, la mente che non coglie quel che vi è oltre l’orizzonte, perduto “nell’azzurra lontananza”.
D’un tratto, esci dal dipinto… Sei daccapo tornato alla realtà, per quanto fatichi a comprendere se, il vero, è quel che è d’attorno o la raffigurazione che è nella pittura, affissa alla parete.
E solamente allora percepisci, tuo malgrado, d’essere tu stesso una rappresentazione onirica, forse, a ragione, sorta per meglio contemplare la meraviglia della realtà…, l’eterno, in fin dei conti, inalterabile stupore che è la vita.
Ti soffermi ancora un istante…, di fronte al dipinto, rivolgi lo sguardo ad una minuta targa, probabilmente ripropone il nome del quadro…, e leggi: “Ruan Ka Tui”.

 
 

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