"La parte migliore" per imparare ad accettare ciò che di terribile può capitarti


“(…) Era convinta che ogni essere umano assomigliasse al proprio corpo. Il dolore è una macchia sul volto. La paura è una stanza troppo grande. Conosceva il valore della giusta distanza; (…). Aveva un carattere che negli anni aveva disegnato come fosse una scultrice, togliendone un pezzo dopo l’altro, e l’importante non era quello che era rimasto, ma ciò che aveva distrutto a furia di colpi di scalpello”.
Leda ha quarantacinque anni, fa la psicologa e assiste i malati terminali. Ha una figlia diciassettenne, Laura, un marito lontano e un figlio, Adriano, che ha perso quando aveva cinque anni. Tanto prova a dar forza e a rassicurare i suoi pazienti quanto è fragile e irrisolta. Ma Leda è brava a mascherare, è maestra nel rassicurare. Così, appena Laura, al rientro da scuola, le dice a bruciapelo di essere incinta – ha fatto sesso durante una festa, era ubriaca -, Leda non si scompone, non fa scenate, non piange, non la sgrida… “Non ti preoccupare”, le dice soltanto.
Leda e Laura sono come due sorelle e, insieme, affronteranno questa nuovo inizio. Ma mentre Leda diventa – giustamente – ancora più protettiva, nonostante il carico emotivo pesantissimo dovuto al suo lavoro, Laura in preda alle nausee, si fa sfuggente e spesso urticante nei suoi confronti.
La loro è una famiglia sfilacciata che si destreggia tra ricordo di un passato comune e incantato e la memoria di dolori indelebili. È una famiglia nella quale, paradossalmente, il dialogo – in diverse forme e su più livelli – sembra essersi interrotto o farsi monologo: il lavoro, la scuola, gli amici e gli amori richiedono sempre più spazio, sempre più attenzioni. Solo quando si affaccia la possibilità di una nuova vita, diventa chiaro a tutti che è tempo di fermarsi e parlare.
“Le cose accadono indipendentemente dalla nostra volontà.
Ho imparato a non chiedere nulla.
Ad accettare ciò che di terribile può capitarti, o almeno ad accettare che si può accettare”.

La parte migliore (Einaudi) è probabilmente il romanzo più bello e maturo di Raimo, ha un’intensità e uno spessore che rapiscono il lettore portandolo a contatto con l’imprevedibilità della vita.
Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Per Piemme ha pubblicato il saggio-inchiesta Ho 16 anni e sono fascista. Indagine sui ragazzi e l'estrema destra. Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile libero 2005). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile libero 2014). Per Einaudi ha inoltre pubblicato Il peso della grazia (2012), Tranquillo prof, la richiamo io (2015), Tutti i banchi sono uguali (2017). È redattore di «minima et moralia» e «Internazionale».

Rossella Montemurro

 

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