"Il Boia", dall'orlo del fallimento ai fasti dell'alta società nascondendo un segreto: è il torturatore-gigolò di Eduard Limonov
Estremo, fastidioso, a tratti ossessivo, malato… Il
comportamento di Oscar Chudziński può essere descritto solo in negativo. È lui
il protagonista del romanzo Il Boia
(Sandro Teti editore, traduzione di Francesco Pastore) di Eduard Limonov, un
testo travagliato fin dall’uscita tanto che, scritto a Parigi nel 1982 (in un
periodo in cui scrittori ed editori venivano ancora accusati e citati in
giudizio per opere di stampo sadomasochista) fu pubblicato quattro anni dopo,
privo di materiale fotografico e con un altro titolo per aggirare la censura.
È sicuramente un libro forte che rimane
attualissimo anche a distanza di quasi 40 anni.
Oscar è un immigrato polacco trentacinquenne che si
muove nella New York dei primi anni Ottanta. Abbandonate le velleità
letterarie, si spaccia per filosofo e vive in uno squallido albergo, ha una
compagna spregiudicata, Nataŝa – la loro è una specie di “coppia aperta” che ha
anticipato i tempi - e, fin dalle prime pagine, ci appare come un personaggio
border line, pieno di contrasti, forse un disadattato che però maschera bene il
suo malessere sfogandosi in rapporti sadomasochisti.
Così, dalla sera alla mattina, decide di diventare il Boia, torturatore di donne compiacenti. Da fallito - molto bravo, però, a dissimulare il suo status all’esterno -, complice l’incontro con una vedova cinquantenne nota nei salotti dell’alta società newyorkese, ribalta la sua posizione sociale. Diventa l’amante-gigolò di Genevieve, supera il fastidio di starle accanto – negli anni Ottanta i toy boy non erano stati ancora sdoganati… - con il lauto compenso con cui lei, ogni volta, si sdebita per le lunghe ed estenuanti notti trascorse insieme. Ma Genevieve sarà solo la prima di un harem fatto di donne - “Io non sono di questo mondo! (…) Io vi amo tutte. Non sono stato mandato in questo mondo per essere il vostro amante, ma come un padre. La mia missione è quella di calmare e placare le donne. Non posso appartenere a una donna sola, devo appartenere a tutte. (…) - che, pur avendo qualsiasi cosa, cercano nelle pratiche sadomaso di Oscar quella dose di trasgressione che probabilmente le fa sentire davvero “vive”. Non c’è limite alle umiliazioni alle quali lui le sottopone, eppure ogni volta tornano. Spesso è difficile comprendere l’animo umano e questa storia, dalla trama così fitta, disturbata e disturbante, ne è una prova. Non mancano due omicidi che aggiungono contorni noir alla trama.
Così, dalla sera alla mattina, decide di diventare il Boia, torturatore di donne compiacenti. Da fallito - molto bravo, però, a dissimulare il suo status all’esterno -, complice l’incontro con una vedova cinquantenne nota nei salotti dell’alta società newyorkese, ribalta la sua posizione sociale. Diventa l’amante-gigolò di Genevieve, supera il fastidio di starle accanto – negli anni Ottanta i toy boy non erano stati ancora sdoganati… - con il lauto compenso con cui lei, ogni volta, si sdebita per le lunghe ed estenuanti notti trascorse insieme. Ma Genevieve sarà solo la prima di un harem fatto di donne - “Io non sono di questo mondo! (…) Io vi amo tutte. Non sono stato mandato in questo mondo per essere il vostro amante, ma come un padre. La mia missione è quella di calmare e placare le donne. Non posso appartenere a una donna sola, devo appartenere a tutte. (…) - che, pur avendo qualsiasi cosa, cercano nelle pratiche sadomaso di Oscar quella dose di trasgressione che probabilmente le fa sentire davvero “vive”. Non c’è limite alle umiliazioni alle quali lui le sottopone, eppure ogni volta tornano. Spesso è difficile comprendere l’animo umano e questa storia, dalla trama così fitta, disturbata e disturbante, ne è una prova. Non mancano due omicidi che aggiungono contorni noir alla trama.
È consigliabile sospendere il giudizio, allo stesso
modo dello stile di Limonov che, in maniera asettica – e quindi ancora più
“cruda” - descrive in modo dettagliato le estreme pratiche sessuali e gli
istinti ferini dei protagonisti.
“Se
volessimo fare un confronto, - scrive l’autore nella prefazione - il libro
ricorda, nella descrizione inquietante dell’alta società di New York, il
romanzo di Tom Wolfe Il falò delle vanità (The Bonfire of the Vanities) che fu
pubblicato l’anno dopo, nel 1987, e il romanzo di Bret Easton Ellis American Psycho,
uscito solo nel 1991. Quando Il Boia venne pubblicato in Russia, dall’editore
A. Šatalov (per la casa editrice Glagol), la tiratura veniva aggiornata quasi 8
ogni mese. Ho conservato una copia in cui viene riportata una distribuzione di
duecentocinquantamila esemplari. In totale, sono state vendute oltre un milione
di copie. Il libro non è stato ristampato per quasi due decenni”.
Eduard
Limonov (Dzeržinsk, Urss, 1943) è uno
scrittore russo di fama internazionale, poeta, giornalista e leader politico.
Ispiratore di diversi progetti ideologici, fondatore del Partito
Nazional-Bolscevico. Emigra nel 1974 negli Stati Uniti dopo aver trascorso
parecchi mesi a Roma in attesa del visto. Nel 1982 lascia New York per Parigi
per poi fare ritorno in Russia nel 1992 subito dopo la caduta dell’Urss. Dopo
essersi da tempo affermato, Limonov diviene celebre anche al grande pubblico
grazie alla biografia a lui dedicata da Carrère, tradotta in tutto il mondo.
Molto attivo nell’arena politica postsovietica, ha sposato un’ideologia
particolarmente radicale che lo ha portato a scontare periodi di reclusione.
Tra le opere pubblicate in italiano segnaliamo Il poeta
russo preferisce i grandi negri (Frassinelli, 1985), Diario di un fallito (Odradek, 2004) e Zona industriale (Sandro Teti Editore, 2018).
Rossella Montemurro